MAURO FABBRO


Mauro Fabbro | Galleria Consadori 2010

La Galleria Consadori presenta dal 24 marzo 2010 la mostra dedicata a Mauro Fabbro Sculture di luce

E’ una tradizione alta e nobile, quella che nel XX secolo riguarda il recupero concettuale e l’utilizzo di materiali a forte connotazione storica, con componenti decisive di manualità. E’ il retaggio dei Carlo Bugatti e dei Jean-Michel Frank, ad esempio, per quanto riguarda la pergamena: di cui oggi di fa nuovamente interprete Mauro Fabbro, con questa serie di sculture di luce in cui essa si combina, in collisioni felici, con la brutalità del ferro, con le opacità antiche del metallo, e insieme con la demateriazione assoluta della luce.

La pergamena è materiale identitario, nella tradizione occidentale. Vale, in primo luogo, l’evocazione sorgiva della tattilità calda, della consistenza carezzevole della superficie, della tensione superficiale imperfetta dalle tonalità confidenti, che dall’antichità rende complice il nostro rapporto con la pagina. Vale, in secondo luogo, la tradizione nuova inaugurata da Arts & Crafts, che ha visto nella pergamena un filtro translucido capace di avverare nell’ambiente dei corpi luminosi in grado di farsi complici di un’intimità ad alto grado emotivo, insieme essenziali e plasticamente fastosi.

Ebbene, Mauro Fabbro è partito da quelle lezioni, ma mediandole con una coscienza lucida della ricerca plastica contemporanea, ponendosi – com’è tipico d’un filone specifico e nobile, ancorché non sempre riconosciuto adeguatamente, del design italiano del secondo dopoguerra – in bilico perfetto tra autonomia estetica e funzionalità: facendosi cioè artifex, nella pienezza totale del termine, anziché solo designer o solo scultore.

Da tale sua scelta, di auscultazione profonda e sensibile dei materiali e della luce, è nata questa serie di opere, in cui avverti il fasto sensibile della forma, l’impurità felice della trattazione manuale, e insieme un ragionare sui volumi, sul loro crescere come per interna fisiologia organica, sino a farsi presenze spaziose a un punto-limite di sostanza che ne proclama la qualità, anziché la quantità.

La sapienza antica dell’artefice si media, in Fabbro, con una consapevolezza avvertitissima della costruzione moderna della forma: ma, anziché farsi affascinare da quello che già i Goncourt, decenni e decenni addietro, bollavano come il “travailler de chic” e, soprattutto, “la blague” (che è “la formule légère et gamine du blasphème”, essi scrivono), e parimenti da quella che Arthur Danto ha sintetizzato perfettamente come l’“atmosphère de théorie”, egli ha scelto di declinare una forma di ulteriore, mi piacerebbe dire radicale, docta ignorantia, secondo la quale importa meno essere organici ai paradigmi del gusto e assai più fare cose che abbiano un senso, a partire da altre che ne hanno: importa, soprattutto, ritrovare una pienezza sensoriale che eccita l’intelletto, e farla irrompere, ironicamente felice, tra gli stereotipi odierni del way of life.

Testo di Flaminio Gualdoni

Salva